Un’inchiesta della testata Industriaitaliana.it sulle strategie e i nuovi modelli di business legati alla servitizzazione, applicati da aziende leader del made in Italy, cita Scm Group tra le best practice. Di seguito l’intervista completa a Alessandra Benedetti, responsabile service & ricambi e digital trasformation & business remodeling del Gruppo.
Come cambia la vostra strategia industriale per supportare nuovi modelli di business basati sulla servitizzazione? Quali sono le iniziative e le novità?
La servitizzazione implica anche per Scm Group una trasformazione verso modelli di business basati sulla fornitura di servizi a valore aggiunto associati ai nostri macchinari per la lavorazione del legno e di altri materiali, che ne esaltano le prestazioni o ne migliorano l'esperienza d'uso.
Ciò passa attraverso l'efficace integrazione di tecnologie avanzate ed una consapevole progettazione dell'esperienza complessiva dei nostri utenti. Nello specifico, Scm Group ha identificato le seguenti come principali leve per la transizione verso un modello di business capace di proporre soluzioni nell'arco del ciclo di vita del prodotto - che si allunga - e quindi della relazione con il cliente
Condition monitoring e manutenzione predittiva, a che punto siamo? Come risponde il mercato?
Lo scorso settembre Scm Group ha lanciato proprio, in occasione dell'inaugurazione del Technology Center di Rimini, Control Room, ovvero la nostra proposta di service proattivo che, abilitato da IOT, edge e cloud computing, AI e BI, permette di anticipare le possibili problematiche di utilizzo dei nostri macchinari.
I clienti trovano conferma di SCM come partner in grado di supportarli nella loro quotidiana operatività.
Investendo nell’innovazione, che è non soltanto tecnologica, ma sempre di più è innovazione di servizio, cerchiamo di trasferire al mercato il messaggio che la differenziazione e la capacità di creare partnership con i nostri clienti passa attraverso la capacità di riempire di significato e valore le tecnologie: investire in tecnologie abilitanti non basta per innovare – è necessario bensì concepire e co-creare casi d’uso inediti e divergenti, attivando una nuova capacità di ascolto attivo ed empatico verso i nostri clienti. I clienti sono pieni di idee che attendono di essere sviluppate!
Quale il percorso per implementare con successo la digitalizzazione abilitante la servitizzazione?
Implementare la digitalizzazione per abilitare uno shift strategico verso la servitizzazione è per noi la più grande sfida di change management.
Non basta la visione, né la capacità di imitare con intelligenza. Non basta sviluppare competenza e know-how, né investire nelle migliori tecnologie o start-up.
Ciò che ci appare necessario e prioritario è creare un contesto interno all’organizzazione, ma che si estende alle sue interfacce verso il mercato e il territorio, che sia capace di far crescere ed attecchire nuove forme di collaborazione e nuove modalità per concepire e sviluppare innovazioni di prodotto e di servizio.
Il mindset e non solo le competenze. Il team e non solo il processo.
Esistono delle potenzialità di sviluppo nell’ambito dell’intelligenza artificiale, generativa e non?
Stiamo investendo molto nell’esplorazione e prototipazione di casi d’uso abilitati da AI.
Stiamo applicando l’intelligenza artificiale, la più classica e la più statistica, alle serie temporali, alla computer vision, all’analisi dei testi, alle interfacce uomo-macchina, ecc.
Le tecniche che utilizziamo e quelle per le quali stiamo sviluppando competenza sono spesso non mutuamente esclusive e ci accorgiamo che il livello di efficacia specifico di ciascuna tecnologia è fortemente dipendente dal disegno di processo e servizio che si intende sviluppare.
Prendiamo ad esempio le sfide di applicazione in ambito industriale della comprensione dei testi: abbiamo recentemente rilasciato una soluzione proprietaria per l’accesso self-service alla conoscenza che è organizzata e distribuita (o per meglio dire “sparsa”) nei nostri sistemi, legacy e non.
Prima di pubblicare la versione beta, abbiamo sviluppato e confrontato due proof of concept alternativi, ma preposti allo stesso fine: il primo utilizzava soltanto regole simboliche di NLP e un motore semantico per la classificazione e l’estrazione dei dati; il secondo implementava GENAI (ndr LLM) ed era stato addestrato sulle stesse “pubblicazioni tecniche” che definivano il training set del primo. I feedback degli utenti e KPI ci hanno portato a scegliere la soluzione priva di intelligenza artificiale generativa perché questa risultava meno accurata, meno precisa, meno sicura, meno ripetibile, molto più costosa e meno sostenibile.
Ciononostante, non abbiamo intenzione di scartare a priori intelligenze artificiali “general purpose” poiché si sono dimostrate non ideali di fronte ad una sfida. Riteniamo infatti che possano essere perfette per altri casi d’uso - che già abbiamo in roadmap - che meglio le sapranno “specializzare” e “confinare”.